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Museo storico della Liberazione - Roma

Sala 3

Un’estate rovente

Fin da marzo, le città industriali del nord avevano scioperato per il pane e protestato contro i bombardamenti e l'inflazione: lo richiamano l'immagine degli operai di Sesto San Giovanni e un'edizione clandestina dell'Unità, dedicata allo sciopero di 100.000 lavoratori torinesi. Nel frattempo, il 10 luglio in Sicilia erano sbarcati gli anglo-americani. Nella sala è presente la fotografia dei mezzi da sbarco e quella famosa di Robert Capa (1913-1954) di un contadino pastore che indica la strada a un militare. Il 19 luglio un bombardamento anglo-americano aveva colpito e devastato lo scalo merci del quartiere operaio di San Lorenzo, con circa 1500 morti. Questi avvenimenti avevano avviato una sorta di resa dei conti all'interno dello stesso regime fascista: nella riunione del Gran Consiglio del fascismo del 25 luglio si chiedeva al re di togliere il comando militare a Mussolini, e ciò portò all'arresto del duce e alla sua sostituzione alla guida del governo con il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio. Intanto un altro bombardamento, quello del 13 agosto, si abbattè sui quartieri Prenestino, Casilino e Tuscolano, con oltre 300 morti, colpendo anche un treno in arrivo da sud alla stazione Casilina. Il nuovo governo, guidato da Pietro Badoglio, accettò allora la resa senza condizioni la cui notizia fu diffusa da Radio Algeri, dal generale Eisenhower, dallo stesso Badoglio, con un comunicato radiofonico, e dai giornali.

Ordini e divieti

L'accordo tra il comando tedesco e quello italiano venne reso noto con un comunicato dell'agenzia giornalistica ufficiale Stefani: Roma fu allora affidata ad un'autorità italiana, chiamata  “città libera” o“città aperta” (che vivrà però pochi giorni). Tra i suoi atti si riportano una notifica sul divieto di possesso e trasporto di armi ed esplosivi e conseguente pena di morte per i trasgressori, e un’ordinanza sulla circolazione degli autoveicoli. Ma, perché non si avessero dubbi sul potere reale, un'ordinanza del feldmaresciallo Kesselring, pubblicata in un manifesto bilingue (italiano e tedesco), ricordava che il territorio occupato (Roma inclusa) era dichiarato territorio di guerra, e che in esso valevano le leggi tedesche di guerra, con ordini e divieti il cui mancato rispetto sarebbe stato duramente sanzionato, talora con la morte. Un esempio di tale potere era chiaramente indicato dal divieto, emanato nel mese successivo, dell'ascolto di trasmissioni radiofoniche diverse da quelle tedesche e da quelle fasciste. I tedeschi considerarono la “città libera” non come organismo sovrano italiano, ma come un'autorità esecutiva dei propri poteri e priva di reale autonomia. Finito l'equivoco della doppia autorità, il loro potere su Roma sarà totale, favorito e appoggiato dalle alte cariche della RSI. Uno dei settori in cui ciò avvenne fu quello -testimoniato da alcuni manifesti- del reclutamento militare e del lavoro obbligatorio.

Città prigioniera

La forte e condizionante presenza degli occupanti si fa sentire anche attraverso l'uso di edifici storici della città per attività di controllo e repressione, soprattutto nelle zone del centro. L'occupazione nazista disegna così una sorta di topografia del terrore, tocca aree urbane che il popolo evita di frequentare e addirittura nominare: Via Tasso, per esempio, viene indicata con giri di parole. Sui muri della città manifesti con ordini e divieti si alternano a quelli della propaganda, che dipinge a tinte fosche coloro che si oppongono in nome dell’identità nazionale e della libertà. Nella stanza sono presenti una serie di fotografie che ripercorrono le tappe di questa mappa della repressione. Un’immagine rappresenta Villa Wolkonskj, sede dell'ambasciata tedesca. Un'altra si riferisce proprio all'edificio di Via Tasso. Un'altra ancora all'albergo Flora in via Vittorio Veneto, prima sede del Comando territoriale e del Tribunale di guerra, obiettivo anche di un’ardimentosa azione armata dei GAP. E ancora un'immagine di Regina Coeli, l'antico carcere di Roma, dove gli occupanti si erano riservati un “braccio” (reparto) e, inoltre, fotografie di due luoghi dove ha infierito la banda di Pietro Koch, non seconda alle SS come ferocia e sadismo, la Pensione Oltremare in via Principe Amedeo e la Pensione Jaccarino in via Romagna.  Tristemente noto anche Forte Bravetta. Dal 1930 vi furono eseguite le sentenze di condanna al morte del TSDS - ripristinata dal fascismo - e dall' 11 ottobre 1943 al 3 giugno 1944 anche quelle del Tribunale militare di guerra germanico.

Città in guerra

L'occupazione nazista si sovrapponeva a una città che già aveva visto sconvolte le sue attività a causa delle disastrose condizioni di guerra. Lo stesso aspetto ne era profondamente mutato a causa della protezione antiaerea dei monumenti, degli edifici, degli orti di guerra e altri provvedimenti. Altra incisiva e significativa novità era stata quella dell’inserimento delle donne in diversi ambiti della produzione e dei servizi. Il coprifuoco, d'altro canto, progressivamente portato alle 17:00, sconvolgeva i tempi della giornata, e obbligava a restare in casa famiglie che spesso coabitavano con parenti o conoscenti sfollati, o che avevano avuto la propria casa distrutta o pericolante per i bombardamenti. Per le mille necessità della vita quotidiana era necessario industriarsi. Il cibo era scarso per l'inefficienza dei servizi annonari che gestivano il tesseramento. Anche per il pane e l'acqua occorreva sottoporsi a interminabili file, senza avere certezza di ottenere qualcosa. La borsa nera fu una costosa valvola di sfogo, che permise di sopravvivere a chi riusciva a procurarsi le risorse per farvi ricorso.

Deportazioni

La deportazione di interi gruppi sociali e il loro concentramento nei campi, destinati allo sterminio e allo sfruttamento del lavoro forzato, è uno dei caratteri tipici dell’organizzazione sociale dell'occupazione nazista nei paesi d'Europa. Oltre alla più nota, quella razziale finalizzata allo sterminio degli ebrei (Shoah), vi era quella contro gli oppositori politici e quella dei lavoratori forzati. In Italia -per le particolari vicende politico e militari- dopo l'8 settembre si aggiunse quella degli Internati Militari Italiani, IMI, cioè dei 600.000 e più prigionieri che rifiutarono di collaborare con nazisti e fascisti. Si ricordano la deportazione del Lager del sottotenente Vincenzo Colella, quella dei Carabinieri avvenuta il  7 ottobre 1943 , quella dei 1022 ebrei romani del 16 ottobre 1943 . Vi furono altre due deportazioni, la prima è quella del 4 gennaio 1944 di oltre 300 oppositori politici e sociali schedati dalla questura e dei quali erano stati forniti i nomi ai nazisti dai funzionari italiani. La seconda è quella successiva allo sfollamento di massa del quartiere del Quadraro il 17 aprile 1944, con deportazione per lavoro forzato di circa 800 uomini.

Città ribelle

L'occupazione trovò anzitutto un’opposizione popolare spontanea. L'organizzazione della lotta, intorno al CLN e ai partiti e movimenti (anche esterni ad esso), procedette in sintonia con la crescita del disagio, del distacco dal potere e della crescita della ribellione popolare. Uno strumento di lotta semplice molto efficace furono i chiodi a quattro punte , ), il cui impiego vi era già stato nel Risorgimento e nella Grande Guerra. L'artigiano comunista Lindoro Boccanera li vide nel Museo storico dei Bersaglieri a Porta Pia, dove si era rifugiato una notte, e li propose alle organizzazioni del suo partito. L'uso si diffuse presto anche fra gli altri, data anche la semplicità della realizzazione. Strumenti importanti della lotta furono  volantini e stampa clandestina , che a Roma ebbero caratteristiche particolari e dei quali il Museo possiede importanti raccolte: essi costituiscono il raccordo tra la Resistenza armata e quella non armata, e indicano il coinvolgimento di soggetti sociali diversi.

Uccisioni

I romani sperimentarono la cieca brutalità delle  uccisioni individuali , che nella stanza sono ricordate dalle figure simboliche del vicebrigadiere dei Carabinieri Salvo D'Acquisto, con il ritratto di George de Canino, e di Teresa Gullace, ritratta da Martina Donati. Salvo D'Acquisto venne fucilato il 23 settembre 1943 a Palidoro, in Comune di Fiumicino (allora di Cerveteri): per salvare gli altri 22 ostaggi catturati insieme a lui. Il vicebrigadiere si accusò dell'esplosione di una bomba, in realtà scoppiata casualmente, che aveva ucciso un soldato tedesco. Teresa Talotta Gullace, invece, fu uccisa il 3 marzo 1944 da militi tedeschi in viale Giulio Cesare mentre tentava di dare un pacco al marito, catturato durante un rastrellamento. Ma ci sono state anche  uccisioni di gruppo ; Pietralata, Fosse Ardeatine, La Storta-Giustiniana ; e poi le esecuzioni capitali di Forte Bravetta, coperte da una tragica caricatura di processi e di condanne.

Pane, pace, libertà

Tra lo sbarco di Anzio Nettuno e la strage delle Fosse Ardeatine, la situazione della città si fece più difficile. La pressione sulla popolazione divenne sempre più forte sia per le difficoltà alimentari sia per intensificazione dei rastrellamenti. Agli occupanti serviva manodopera sia per il trinceramenti al fronte sia per le fabbriche in Germania, e la RSI spingeva per gli arruolamenti dei giovani. Nel frattempo diventavano sempre più importanti le attività partigiane, le manifestazioni di massa e altre espressioni di lotta non armata. Vengono qui ricordati soprattutto gli assalti ai forni: un volantino delle donne comuniste in cui si esprime sostegno alla lotta per il pane e la pace; Caterina Martinelli, una delle donne simbolo, fu uccisa il 3 maggio 1944 da militi della PAI che al Tiburtino III (oggi Colli Aniene) spararono alle donne durante l'assalto per il pane.  Altra mobilitazione da non dimenticare fu quella contro il reclutamento dei giovani e contro i rastrellamenti. In apparenza è assente la classe operaia perché gli impianti produttivi erano stati smantellati, depredati e trasferiti in Germania o devastati dalle bombe: ma i circa 800 deportati del Quadraro sono in gran parte  operai . Si ricorda, infine, l'ultimo atto di guerra della Resistenza di Roma. Esso ebbe per protagonista il dodicenne Ugo Forno, morto in un combattimento contro guastatori tedeschi che avevano minato il Ponte Salario. Al gruppo di ragazzi che ne furono protagonisti si ispirò anche Roberto Rossellini in Roma città aperta.

Via Tasso

L'unica immagine d'epoca dell'intero edificio è un disegno, quasi tecnico, nel quale si riconoscono lo stemma sull’ingresso al civico 155, le bocche di lupo e le finestre murate dal lato del civico 145. In calce a un comunicato di una taglia per l'uccisione di due informatrici, si legge l'indirizzo del comando della polizia tedesca. Via Tasso fu il luogo dove, anche senza motivo, le persone erano portate, interrogate, detenute e torturate. Vi furono condotte almeno 2000 persone, delle quali circa 400 donne. Poche persone vennero liberate e rinviate a casa dopo pochi giorni, ma in genere era possibile uscire solo per essere imprigionati nel carcere di Regina Coeli, inviati al Tribunale di guerra tedesco per essere poi condannati alla fucilazione a Forte Bravetta, per scontare pene in Germania o essere trasferiti in un Lager di lavoro forzato, oppure, come è accaduto, per essere uccisi alle Fosse Ardeatine.

Sono struggenti i graffiti riprodotti nelle celle di segregazione, del secondo e del terzo piano, che alcuni prigionieri hanno inciso con chiodi estratti dalle scarpe o con fiammiferi di legno sui muri delle celle.