Cookie disclaimer

Questo sito utilizza cookie tecnici e cookie di profilazione di terze parti per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per approfondire leggi la pagina Privacy and cookie policy. Accetto Rifiuto

Museo storico della Liberazione - Roma

Internati Militari Italiani

Gli Internati Militari Italiani (IMI) sono i militari, ufficiali, sottufficiali e soldati, che furono catturati dopo l’8 settembre in Italia e su tutti i fronti di guerra, dove fino a quel momento avevano combattuto a fianco dei tedeschi come alleati. Posti davanti alla scelta di passare dalla parte tedesca e combattere nella Wehrmacht o con le SS, rifiutarono in massa e, dopo la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, si rifiutarono anche di aderire a quest’ultima, mantenendo fede al giuramento prestato al Re, che rappresentava lo Stato italiano legittimo, e pertanto furono deportati in Germania. In quanto considerati traditori “badogliani”, fu loro tolto lo “status” di prigionieri di guerra, e attribuito quello di “internati”. Come tali non godevano della protezione degli accordi internazionali, primo tra tutti la Convenzione di Ginevra, e neppure della tutela della Croce Rossa Internazionale e delle altre organizzazioni umanitarie. Nei campi di concentramento furono sottoposti a lavoro “coatto”, ma a fronte di fame, sevizie, e umiliazioni di ogni tipo, continuarono ad opporsi ad ogni forma di collaborazione con i nazifascisti. Con il loro NO pagarono pesantemente la fedeltà al giuramento prestato all’Italia. In totale furono circa 700mila, una gran parte del Regio esercito. Oltre 50mila morirono nei campi, altrettanti al ritorno in patria per malattie contratte in prigionia.

Internati nei Lager tedeschi furono anche i Carabinieri della Capitale, che in circa duemila/duemilacinquecento (il numero varia a seconda delle fonti) il 7 ottobre 1943 subirono la deportazione, oltre a quelli catturati alla spicciolata nei giorni immediatamente successivi all’armistizio. Dopo l’8 settembre, per convenzioni internazionali, in quanto forza di polizia, erano rimasti al loro posto e avevano dovuto passare agli ordini delle autorità tedesche. Per il loro operato in difesa della popolazione, Kappler li aveva definiti inaffidabili, inoltre essi la sera stessa dell’8 settembre avevano combattuto contro i tedeschi. Per questi motivi essi dovevano essere neutralizzati e ciò venne fatto con la collaborazione della RSI. Il 6 ottobre il generale Casimiro Delfini, Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali, in applicazione di un ordine ricevuto dal Maresciallo Rodolfo Graziani ministro della Difesa Nazionale della Repubblica Sociale Italiana, diede disposizioni perché i carabinieri si presentassero nelle caserme di competenza e contestualmente consegnassero le armi in attesa di nuovi ordini. In caso di disobbedienza sarebbero state arrestate le rispettive famiglie. Dei circa seimila carabinieri presenti a Roma, circa duemila si presentarono e il giorno successivo furono deportati in Germania e rimasero nei campi di prigionia fino alla fine della guerra, rifiutando di passare dalla parte dei tedeschi e di aderire alla RSI, nonostante avessero la garanzia di riunirsi alle proprie famiglie. Coloro che non si presentarono in gran numero aderirono alla Resistenza e formarono il Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri (FCRC).

L’appellativo “badogliano” aveva un significato negativo, in quanto Badoglio rappresentava il Governo che aveva tradito, con l’armistizio, l’alleanza con i tedeschi. Tutti coloro che si riconoscevano nel Re e nel governo presieduto da Badoglio erano definiti “badogliani”. Si tenga presente che nella nota del Comando tedesco pubblicata dall’Agenzia Stefani, con cui si comunicava alla popolazione l’avvenuta rappresaglia delle Cave Ardeatine, gli autori dell’attacco di via Rasella erano definiti “criminali comunisti badogliani”.